Potatura – Gv 15, 1-8
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Ciò che ci ha fatto nascere è stato un atto d’amore. Certamente, un amore che ancora bisognoso di crescere, imperfetto, ferito, parziale… ma pur sempre un atto d’amore. L’amore ci ha preceduto, l’amore ci ha letteralmente dato la vita. Questa legge dopo la nascita ce la scordiamo, eppure l’amore resta più grande di noi.
Sembra una frase da carta di cioccolatino, ma ha delle conseguenze importanti, se la prendiamo sul serio: non siamo chiamati a sforzarci in maniera sovrumana perché l’amore esca da noi, ma siamo chiamati a difendere, servire, custodire l’amore a cui noi stessi siamo attaccati. Nessuno diventa buono, ma tutti possiamo lasciarci costruire dalla bontà. Come i tralci alla vite.
Non creiamo noi l’amore, ma siamo creati da esso: così non dobbiamo impegnarci ad “amare bene”, quanto a restare attaccati bene all’amore. Crediamo che tutti gli uomini sappiano fare ad amare, mentre invece è l’amore che sa umanizzare tutti. Forse, se smettessimo di cercare in noi le forze per “essere buoni” – che non abbiamo – incominceremmo ad abbassare le difese verso ciò che la vera bontà vuole dirci e farci.
Chissà, forse vuole dirci, timidamente, che anche le ferite che la vita ci procura – a volte superficiali come un ginocchio sbucciato, a volte profonde e insanabili – possono trasformarsi in una potatura, perché possiamo portare più frutto. Difficile guarigione, quella dell’amore, difficile da credere e da vivere, ma è il senso più grande e pieno che possiamo dare alla nostra vita.