Biglietto e motorino
Risposta esatta! Pietro sembra aver fatto bingo: cosa c’è ancora da aggiungere a parole che dicono e spiegano tutto? C’è soltanto da goderne i frutti, da ricavarne ogni possibile vantaggio. Questa domenica la liturgia ci mette di fronte allo snodo chiave del Vangelo di Marco, al capitolo 8 (Mc 8,27-35): alla precisa richiesta da parte di Gesù di definire la propria identità, Pietro sembra risolvere tutto affermando che lui è il Cristo.
Se non fosse un po’ irriverente, l’atteggiamento di Pietro potrebbe essere paragonato all’episodio tragicomico del tabaccaio che alcuni giorni fa ha sottratto il biglietto vincente della lotteria a una anziana signora, legittima vincitrice, scappando in motorino. L’uomo avrà sicuramente perso la testa di fronte alla possibilità di un facile guadagno, dimenticando una cosa semplicissima e cioè di non essere lui il legittimo proprietario di un biglietto che non avrebbe mai potuto riscuotere. Il tabaccaio non ha capito che l’unico vantaggio vero che avrebbe potuto ottenere sarebbe stato possibile rimanendo al proprio posto.
Riconoscendo l’identità di Gesù, Pietro capisce anche di trovarsi di fronte al vero tesoro della sua vita, ma non sa stare al suo posto e pensa di poter andare immediatamente all’incasso. Ragiona proprio come il tabaccaio, credendo di poter gestire lui una ricchezza che non gli appartiene e che porterà frutti solo quando sarà accolta per quello che è.
Certo che Gesù è il Cristo, ma questo non vuol dire che lo sia alla maniera degli uomini: le aspettative sarebbero quelle di un messia potente, capace di trasformare con un dito la condizione del popolo e di sconfiggere ogni nemico. É per questa ragione che Pietro non può tollerare parole che parlano di sofferenza, rifiuto, sconfitta e morte da parte di colui che ha appena riconosciuto come il Cristo. Pietro sale sul motorino, corre in avanti dimenticando che il biglietto che ha con sé e che ha appena strappato non gli appartiene, non lo potrà incassare come crede lui.
Questa fuga in avanti appartiene alla condizione di molti uomini oggi: facciamo fatica ad accettare di rimanere al nostro posto per capire davvero come funziona la vita; abbiamo intuizioni spesso felici che potrebbero davvero fare cambiare le cose, ma non sappiamo come svilupparle perché non abbiamo pazienza e vorremmo essere sempre altrove in luoghi spensierati e felici dove pensiamo di avere il diritto di riscuotere un biglietto che non è il nostro.
Il Vangelo ci propone un cammino diverso, fatto di responsabilità e presa in carico della vita: ci invita a rimetterci al nostro posto, quello di discepoli.
Essere discepoli di un messia pronto a dare la vita vuol dire fare come lui, mettersi dietro a lui per imparare, giorno dopo giorno, a portare con dignità e amore vero la nostra croce, che è la nostra stessa vita. Ogni vita è una croce, perché è l’unica cosa che dobbiamo imparare davvero a portarci sulle spalle, ognuno la sua, senza cercare facili scappatoie. Gesù, come ogni vero maestro credibile, ci fa vedere come fare e ci chiede di avere pazienza per imparare davvero a farlo.
La prima condizione per rinnegare se stessi è riconoscere di avere bisogno di un maestro.
La seconda è quella di capire che si tratta di un atto reso possibile solo dalla fiducia e che questa fiducia apre la via della salvezza.
Non esiste una croce capace di salvare: esiste un modo di portare la croce che è quello che possiamo imparare da Gesù se accettiamo di stare dietro a lui.
Questo modo, lo stile proprio del discepolo, ci viene messo davanti perché impariamo a vivere senza ingannare noi stessi e gli altri. Il modo di ragionare di chi pensa solo a trattenere viene dal diavolo, è segno di divisione e sconfitta: siamo continuamente sollecitati da queste suggestioni, anche quando abbiamo l’intuizione di essere davanti a una via davvero alternativa che ci potrebbe rendere felici. Gesù lo sa molto bene e per questo sottopone Pietro a un rimprovero così forte e aspro, come pochi altri nel Vangelo. Attraverso Pietro ogni discepolo è richiamato al proprio posto, perché risulti chiaro a tutti che per seguire un maestro come Gesù bisogna prendere sul serio la vita.
Se preferiamo scappare con il nostro motorino con in mano il biglietto della felicità, rischiamo di arrivare all’imbarco di un aereo che non riusciremo mai a prendere.
Il biglietto della felicità lo abbiamo già in tasca: è la nostra stessa vita che attende di essere spesa per trasformarsi da croce a resurrezione, da possibile perdita a guadagno definitivo per spiccare il volo della salvezza.