L’albero del desiderio
Sono gli incontri che ci cambiano la vita. Dentro alle situazioni, nei contesti più diversi, assecondando o rifiutando certe scelte; ci definiamo come persone attraverso gli incontri che si situano nell’oggi di ogni giorno. Ci sono però anche le occasioni mancate, gli incontri rifiutati, le chiusure più o meno programmatiche, tutte quelle storture del vivere che ci portano a scegliere una forma di solitudine sbagliata, figlia della pigrizia o delle incomprensioni. Si può e si deve cercare una solitudine abitata dal desiderio che ci prepara e abilita all’incontro, ma si deve vigilare con attenzione su un certo isolamento che può essere frutto di un contesto malato o delle nostre scelte sbagliate, spesso dettate dall’egoismo e da una falsa ricerca di benessere.
La XXXI domenica del Tempo Ordinario (anno C) ci presenta uno degli incontri più straordinari narrati nel Vangelo di Luca, quello tra Gesù e Zaccheo (Lc 19,1-10).
L’abile penna dell’evangelista ci descrive un uomo basso di statura, capo dei pubblicani e quindi, per questa ragione, depositario di una ricchezza immensa, frutto disonesto di traffici disonesti. Un adulto che si rende ridicolo per cercare di vedere Gesù, ridicolo perché fa le cose dei bambini: corre in mezzo alla folla e sale su un albero, proprio come farebbero dei bambini non curanti del giudizio degli adulti. In definitiva, ci viene presentato un uomo che non avrebbe nessuna condizione per poter essere salvato, in quanto peccatore manifesto, privo di virtù e soggetto perfino all’interdetto stesso di Gesù che, pochi versetti prima, ha dichiarato riuscire più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, piuttosto che per un ricco essere salvato.
Il Vangelo stesso, però, ricorda anche che nulla è impossibile a Dio, nulla, a patto che si accetti la logica dell’incontro. Perfino l’impossibile può diventare realtà.
Zaccheo conosce la lingua del desiderio, ecco perché sale sulla pianta di sicomoro: riconosce che, per evitare al desiderio di trasformarsi in pericoloso girare a vuoto, deve necessariamente accettare di confrontarsi con il desiderio di qualcun altro.
Non basta desiderare qualcosa se non si è disposti a creare le condizioni per vederne la realizzazione: sarebbe tempo perso, vanità di vanità, se non accettassimo di sottoporre il desiderio al confronto certo e serrato con la realtà delle possibilità che ci si aprono davanti.
Zaccheo desidera vedere chi sia Gesù perché vuole incontrarlo, lo cerca con tutte le sue forze e per questo non ha paura di risultare ridicolo, decidendo di compiere i passi che lo porteranno in cima ad un ramo di sicomoro. Eppure su quel ramo ci sarebbe rimasto se anche Gesù non avesse coltivato il desiderio di incontrarlo per potersi fermare a casa sua: Gesù passa per la strada e rimane in attesa di incontrare sguardi che lo interroghino con onestà e voglia di cercare. Non può fare a meno di chiedere ospitalità a chi vuole davvero vederlo per iniziare a conoscerlo.
Il desiderio di Dio e il desiderio dell’uomo si incontrano e generano l’impossibile: fanno nascere una storia di salvezza, oggi e sempre, dove apparentemente non c’è possibilità alcuna di cambiamento.
Zaccheo cambia radicalmente vita perché ha accettato di verificare la bontà del proprio desiderio: non si è accontentato di una semplice sensazione, ma ha finito per prendere sul serio perfino la possibilità di essere sconfessato, magari addirittura deriso e rifiutato da Gesù.
Cambia perché accolto e reso capace di accogliere, diventa perfino capace di rispondere alle critiche riconoscendo il suo peccato e individuando già la necessità di fare qualcosa per porvi un argine. Non vuole rimediare a ciò che ha fatto: nell’oggi della salvezza, ha compreso che il passato non può essere corretto ma che il futuro è ancora tutto da scrivere.
Ci sono incontri che comunque cambiano la vita se li sappiamo accogliere. Ci sono incontri negati che diventano purtoppo solo generatori di morte. In questi giorni rimaniamo con il fiato sospeso, in attesa che si realizzino incontri di vita, che arrivi la notizia tanto attesa dell’inizio di un serio tavolo di pace che permetta alle parti in guerra di incontrarsi davvero. Certo, però, la pace, perché si realizzi, deve essere desiderata e non possiamo aspettare che sia l’altro il primo a desiderarla, perché potrebbe essere troppo tardi: il passaggio dall’incontro mancato allo scontro sempre più certo è ormai un’evidenza che non può essere negata.
Zaccheo ci insegna che un desiderio vero non ha paura del ridicolo. Lo sgurdo di Gesù ci ricorda che ogni desiderio sincero di vita non può che generare gioia e pace.
Lasciare i desideri di pace solo all’ambito della fantasia ci può consegnare ad una prospettiva sempre più malata e rischiosa.
Certo la pace non dipende direttamente da noi e dai nostri incontri, ma se non abbiamo noi il coraggio di salire per primi su un ramo, spinti dal desiderio di vedere realizzarsi l’impossibile in un incontro, allora vuol dire che non sappiamo davvero più desiderare nulla di importante, tutti ripiegati soltanto su di noi e i nostri piccoli bisogni. Se fosse davvero così, lui continuerebbe a passare alzando lo sguardo, ma scorgendo sull’albero soltanto uccelli e qualche simpatico animaletto: nessuna traccia di un uomo davvero pronto a cambiare.