Sbirciare tra le sbarre

Sbirciare tra le sbarre

Avevamo già intuito che Giovanni fosse un uomo vero, non solo, nel brano di questa III domenica di Avvento anno A  (Mt 11,2-11), scopriamo anche di trovarci di fronte a un grande uomo, il più grande che sia mai nato. Se vi pare un’affermazione eccessiva allora dobbiamo ritornare con attenzione alle parole stesse di Gesù che così lo definisce: «fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista – aggiungendo poi – ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». Cosa avrà voluto dire il Signore con queste parole così enigmatiche? Sicuramente che la grandezza di Giovanni non va misurata secondo criteri mondani e che la realtà del regno dei cieli è straordinariamente più ricca di quanto qualsiasi uomo possa immaginare o sperimentare sulla terra.

Si tratta di due evidenze che meritano però un approfondimento.

Scopriamo la grandezza di Giovanni nel momento della sua personale e più profonda difficoltà: dal carcere, ormai destinato al silenzio e alla consapevolezza della morte imminente, manda a Gesù dei discepoli a chiedere se sia davvero lui il messia o se sia il caso di attendere qualcun altro. Dopo aver predicato l’arrivo del salvatore e averlo incontrato al Giordano, dopo aver udito la voce del Padre scendere sul Figlio, dopo aver sentito raccontare di miracoli straordinari e predicazioni sorprendenti, lo vediamo in carcere, attanagliato dai dubbi sull’identità di Gesù. La sua grandezza sta nell’ accettare la sfida del dubbio e di porre la domanda seria e decisiva della vita: neppure nella sconfitta fa un passo indietro e smette di cercare quello che davvero conta. Non si accontenta di quello che ha già fatto e del sentito dire, ma vuole una conferma che gli restituisca il senso di quanto vissuto e predicato: desidera affidare la sua vita al messia che è venuto anche per lui e per la sua salvezza. La cosa sorprendente è che fa tutto questo da sconfitto, proprio nel momento di massima incertezza ha il coraggio di investire di nuovo sul suo personale rapporto con Gesù.

Tanti santi hanno imparato da Giovanni a guardare al proprio fallimento, pensiamo a Francesco a Filippo Neri, ai grandi santi carmelitani, solo per citarne alcuni cari alla tradizione occidentale. Hanno imparato a puntare tutto su Gesù proprio nel momento in cui tutto sembrava perso e lì finalmente hanno capito il senso profondo della propria chiamata e della propria vocazione.

Giovanni è maestro di fiducia perché ci insegna ad abitare il nulla della nostra povertà riconoscendo che, anche se smarriti, possiamo accogliere la luce definitiva sulla nostra esistenza. Ecco perché Gesù gli fa rispondere attraverso l’elenco di quello che era sotto gli occhi di tutti ma che lui dal carcere non poteva vedere: lo porta a considerare un elenco di fatti che si conclude con ciò che appare meno eclatante, cioè l’annuncio del Vangelo ai poveri. Ciò che conferma Giovanni nella sua speranza è in fondo proprio quello che anche lui può udire e quello che anche lui ha predicato: una buona notizia destinata anche a chi è in carcere e agli ultimi, proprio come lui. Non è decisivo quello che puoi vedere, ciò che davvero conta è ascoltare il Vangelo e credere che la relazione con Gesù è la via maestra per superare lo scandalo di ogni nostra fragilità e debolezza.

Giovanni, allora, è grande non perché coerente, non perché un profeta o perché sarà fatto martire: Giovanni è il più grande perché insegna a tutti noi come continuare a fidarsi di Dio anche nel dramma della notte oscura dell’anima: la sua domanda dal carcere è una straordinaria preghiera di affidamento a colui che non smette di prendersi cura di noi.

Essere lontani dall’esperienza del carcere non vuol dire essere liberi: ogni persona deve imparare a fare i conti con le proprie prigioni, sapendo che è proprio questo che ci rende grandi.

C’è sempre da gioire quando qualcuno guadagna la propria libertà fisica, tanto più quando ingiustamente detenuto, ma c’è una libertà ancora più importante che non può essere frutto di nessun genere di scambio come è avvenuto in questi giorni, in un perfetto clima da guerra fredda, tra Stati Uniti e Russia: si tratta della libertà interiore di consegnare la propria vita in mano a chi la può salvare, non una volta sola, ma per l’eternità.

Infatti, la seconda evidenza che Gesù mette in luce a conclusione del suo discorso agli inviati di Giovanni,  è proprio inerente al fatto che la grandezza raggiunta da Giovanni stesso attraverso la sua capacità di fidarsi, lo consegna all’esito felice della sua vita e della sua missione che non sta nella conferma di essere nel giusto o, nella peggiore delle ipotesi, nella morte, per quanto gloriosa e santa. L’esito a cui è destinato Giovanni è il regno di Dio, dove la pienezza della vita sarà misurata secondo uno standard inaspettato e sorprendente.

A cosa servirebbe essere grandi, perfino grandi davvero come lo è stato Giovanni, se questa grandezza che ci è possibile sperimentare sulla terra non ci aprisse le porte di un Regno dove le grandezze umane non hanno più alcun valore? Non è impossibile, attraverso le sbarre di una cella, tanto prima o poi tutti ne abiteremo una,  sbirciare verso il cielo e ricordarsi, proprio lì dove tutto sembra essere perduto, che le quattro pareti che abbiamo attorno non possono essere l’unità di misura che Dio applica al nostro destino.

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