Il gusto del sale
Ci troviamo, ancora una volta, a commentare la notizia terribile del suicidio di una giovane universitaria, questa volta a Milano. Ormai sembra essere diventata una notizia a cui abituarsi e che possa collocarsi nel normale sviluppo delle conseguenze sociali di quello che stiamo vivendo negli ultimi anni: la media dei commenti, infatti, fa riferimento alla condizione giovanile difficile, alla mancanza di una rete sociale di riferimento, alla fragilità dei più giovani accuita dalla pandemia e dalla paura di un futuro sempre più difficile da decifrare. Qualcuno, poi, azzardando interpretazioni un po’ meno superficiali, si spinge a mettere in discussione una sistema generale che sottopone persone in formazione a considerare solo l’aspetto del successo e della riuscita personale, senza mai valutare l’insieme delle realtà generali che costituiscono la riuscita di un percorso formativo. Detta in altre parole, qualcuno inizia ad aprire gli occhi sul fatto che un sistema formativo unicamente indirizzato alla valutazione della performance, in realtà genera un quadro di aspettative eccessive e fuori misura rispetto alla realtà. Non si tratta di mettere in discussione la realtà del merito, ma di provare a ragionare su un sistema formativo che aiuti le persone a trovare davvero il proprio posto nella vita: di questo hanno bisogno i nostri giovani, ma anche una società in cui le eccellenze siano sempre più sostenute da un tessuto sano fatto di persone che vivono al meglio quello che fanno, ma prima ancora quello che sono. La scuola e l’università, insieme alle altre realtà educative, dovrebbero proprio servire a questo: aiutare i più giovani a capire chi sono e non a sentirsi dei falliti perché incapaci di corrispondere a degli standard prestabiliti. Gestire il fallimento, avere la pazienza di saperlo trasformare in una preziosa indicazione di crescita umana per la propria vita, fa parte dei compiti di una qualsiasi sana istituzione formativa e non può essere un compito demandato ad alcuni specialisti o a percorsi strettamente individuali.
Prendendo spunto dal Vangelo di questa V domenica del Tempo Ordinario, anno A (Mt 5,13-16), si tratta di recuperare la capacità di mettere le persone davanti alla propria realtà positiva di esseri umani, per aiutarli a indirizzare al meglio e in modo realistico, le proprie capacità e potenzialità. Gesù afferma, in questi pochi versetti del lungo discorso della montagna, che tutti coloro che lo stanno ascoltando sono sale della terra e luce del mondo. Non dice che lo diventeranno o che potranno esserlo: parte dalla considerazione straordinaria della bellezza intrinseca di ciascuno, senza però fermarsi soltanto a questo. Da straordinario educatore qual’è, insistendo sulla responsabilità di riconoscere una realtà profondamente positiva, spinge il proprio uditorio a prendere posizione rispetto al proprio compito e alle proprie aspettative. Questo vuol dire aiutare le persone a maturare una vera consapevolezza di sé. Dobbiamo ripartire da qui, dal valore intrinseco che ogni persona rappresenta per questa società e a saperlo raccontare: dobbiamo smettere di dipingere la giovinezza come la terra dei balocchi e della spensieratezza, salvo poi trasformarla velocemente nella stagione in cui sperimentare ogni possibile inferno. Dobbiamo avere il coraggio di raccontare ai nostri ragazzi quanto sono belli, non per quello che fanno ma per il fatto di avere tutto il diritto di esserci e di ricercare il proprio posto nella vita: è questo gusto che dobbiamo risvegliare, il gusto per la ricerca dei modi migliori per mettere a frutto le proprie potenzialità, senza dover corrispondere a modelli precostituiti e irrealizzabili ai più. Se non avrai mai l’occasione di incontrare qualcuno che sa riconoscere la tua identità più vera e profonda, il fatto che tu sei sale e luce, come potrai cercare di esserlo? Se nessuno ti aiuterà mai a vedere la tua normalità come il luogo più bello da cui partire per le sperimentazioni della vita e il luogo ancora più bello a cui tornare dopo ogni possibile fallimento, come potrai imparare a prendere sul serio la vita?
Il coraggio educativo di Gesù sta proprio nella sua capacità di riconoscere queste possibilità come realtà che si innestano nel vissuto di ogni uomo e non a partire dagli sforzi volontaristici di qualcuno o sulla base delle prestazioni migliori. Gesù arriva a chiedere e pretendere perfino il dono della vita, ma sempre e soltanto dopo aver sollecitato, in chi lo segue, il gusto della riscoperta di una bellezza profonda del proprio vissuto e del proprio essere al mondo. Questo dovrebbe essere anche il compito di ogni realtà educativa e questo dovrebbe essere il ruolo di ogni adulto che voglia davvero entrare in una relazione positiva con i più giovani.
Trovo importante allora chiudere questa riflessione con le parole di un cantante che, riconoscendo il proprio ruolo di adulto e prendendo spunto da un proprio momento di debolezza, il pensiero di farla finita che può toccare la vita di un adolescente, ha avuto il coraggio di rivolgere alcune parole sui social (fortunatamente riprese da qualche giornale) a una ragazza che non si è data il tempo di aspettare, perché non ha incontrato chi le sapesse raccontare che lei era già sale della terra e luce del mondo.
Io non so neanche perché lo scrivo, e non so se è una questione di gara di eccellenza dentro il percorso formativo, come è sempre stata, o molto di più il fatto che il mondo del lavoro fuori garantisca la sopravvivenza solo per chi eccelle, sacrificando i diritti ai tempi di produzione, e trasformando la scuola non più in una palestra in cui poter sbagliare, ma in un assaggio delle frustrazioni di domani. Lo vorrei dire a una ragazza che non sei tu, che quel pensiero lo capisco, davvero. Ma che se resisti in quel momento, può essere che per te sia stato un attimo (Lodo Guenzi).