Nel segreto – Mt 23,1-12

Nel segreto – Mt 23,1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Il nostro cammino quaresimale è stato inaugurato, nel mercoledì delle ceneri, da queste parole, ripetute da Gesù per ben tre volte: «il Padre tuo, che vede nel segreto» (Mt 6,4.6.18).

Il Padre vede nel segreto. È come se l’ostentazione, lo sfoggio di sé e dei propri atti lo rendesse cieco, gli offuscasse la vista. Gesù spesso si apparta in luoghi isolati per pregare, per stare solo col Padre, per vederlo e farsi vedere.

C’è stato un tempo in cui molti cristiani si sono ritirati nella segretezza di laure, feritoie di rocce, grotte, con un solo scopo: entrare in intimità con Dio, per conoscersi. Temevano che, privati del nascondimento, sfuggisse loro la rivelazione della propria verità più profonda, quella che si manifesta solo di fronte a Dio Padre. Egli non solo «vede nel segreto», ma «è nel segreto»; quella è la sua dimora, Lui abita lì.

Oggi pare che non ci capiamo se non ci mostriamo, se non ci esibiamo. Temiamo l’irrilevanza. Risultare invisibili, poco noti, non conosciuti ci disorienta.

Appaio, dunque sono. E allora foto, storie, reel, post, reazioni; tutto pur di non perdere lo sguardo altrui. Ma a che serve fingere di essere chi non sono? A che giova ridere in foto, se dentro piango?

In fondo, per essere più felici basterebbe cambiare spettatore, riconoscersi guardati con eterno compiacimento da un Padre a cui andiamo bene così come siamo.

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