Ubbidire dall’alto – Gv 3,31-36
Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.
Con il brano di oggi continuiamo la lettura del dialogo tra Gesù e Nicodemo. Si parla di un «dall’alto» che segna la provenienza di Gesù, ma che indica anche gli effetti del battesimo sui credenti (cf. Gv 3, 7). Alle nostre orecchie potrebbe sembrare una sorta di “dominanza”: è infatti il padrone colui che guarda dall’alto il suo servo.
E quindi: via di fraintedimenti! Quante volte, nella storia della Chiesa, abbiamo letto questo brano intendendolo in senso vagamente gnostico, come se essere cristiani significasse udire l’inudibile, vedere l’invisibile, compiere l’infattibile. Come un esercito di tanti piccoli supereroi, rischiamo di nutrire il nostro ego con un alimento non sostanzioso, fatto di aria e di parole vuote.
Il vero senso di quel «dall’alto» sta nel servizio: Gesù, dall’alto, «senza misura dà lo Spirito». Essere in alto significa servire, donare, farsi pane per gli altri. Altrimenti il dono rischia di diventare privilegio, il privilegio solitudine, la solitudine disperazione. Se Dio pone in alto, è solo perché quello è il posto migliore per poter servire.
Il dono deve restare dono e quindi continuare a vivere di una dinamica di gratuità, di disponibilità, di vicinanza. Questo è il buon cibo che ci nutre e ci fa crescere: ricordarci di essere amati per poterlo mostrare agli altri.