È il cuore che ascolta – Gv 10,22-30

È il cuore che ascolta – Gv 10,22-30

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

La mattina di Pasqua Maria Maddalena è al sepolcro, in lacrime, perché Gesù è morto e la tomba è vuota. L’angoscia per la perdita del Maestro è resa ancora più cupa dal vedere che hanno portato via il suo Signore. A un tratto compare un uomo che lei scambia per il giardiniere. È solo quando quest’uomo pronuncia il suo nome che Maria lo riconosce: «Rabbunì!», «Maestro».

Quotidianamente tante persone ci chiamano; il nostro nome è pronunciato da molti. Eppure quando è la persona che ci ama a chiamarci, quando è nostra madre o nostro padre, il nostro sposo o la nostra sposa a pronunciare il nostro nome, esso non suona come a scuola, quando si fa l’appello. Perché con le orecchie si sente, ma è il cuore che ascolta e riconosce subito chi ci ha tenuto stretto a sé quando neanche ne eravamo coscienti, quando eravamo vulnerabili e siamo stati protetti, quando lo stringerci con maggiore forza ci avrebbe potuto uccidere e invece in quel momento ci ha cullato e dato vita.

Nelle tante mani che ci hanno stretto e coccolato e che continuano a farlo, impariamo a riconoscere quella del Signore. Cerchiamole quelle mani, stringiamole e baciamole, se sono ancora tra noi.

E se sono già in cielo, pronunciamo il loro nome. Stiamo certi che da lì ci sorrideranno ascoltando la nostra voce e ci diranno: «siamo una cosa sola».

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