In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».

Oggi si parla moltissimo di pace. Credo che sia perché la sentiamo minacciata, forse perché percepiamo che ne stiamo finendo le scorte. Riconosciamo tutti, a parole, che la pace è un valore fondamentale. Ma non tutti sappiamo che la pace non è automatica, ma richiede un “agere contra”, uno sforzo attivo da parte di ciascuno e di tutti. Altrimenti si spegne.

La pace «come la dà il mondo» consiste spesso in una civile convivenza, perché non ci si pesta troppo i piedi. Come a dire che io sono in pace con ogni singolo abitante delle isola Hawaii. La mia è una “pace telescopica”, talmente distante da divenire – se siamo onesti – indifferenza. Questo tipo di pace non richiede, in effetti, grandi sforzi.

No, la pace “sua” è un’altra cosa. Richiede ascolto, interesse, comprensione, forse anche scontro, ma vivificante, mai mortifero. La sua pace è il raggiungimento di una fecondità che contiene e mette in sinergia ogni differenza, senza eliminarla né idolatrarla, ma semplicemente guardandola con benevolenza e amore, perché è un dono per tutti. Questo tipo di pace richiede un percorso fatto di tenacia, di fatica, di fraternità.

La pace sua è quel sogno che abbiamo tutti nel cuore, perché è lì che il Signore l’ha seminata: «vi do la mia pace». Secondo lui siamo capaci di custodirla e di costruirla. Quindi: all’opera.