Perfino la croce – Gv 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Oggi la liturgia ci propone una festa particolare, l’esaltazione della santa Croce. Davvero una strana ricorrenza: come si fa a esaltare uno strumento di tortura? A essere onesti, alcune preghiere che si leggono oggi sembrano insistere sul carattere cruento della morte di Gesù. Tutto ciò, onestamente, può trarci in inganno.
Sì, perché possiamo pensare che la nostra fede esalti il dolore. “No” – diciamo dentro di noi – “queste cose le vivevano in passato. Adesso non più” – e ammicchiamo sorridenti, come coloro che hanno capito tutto. Ma, se siamo onesti, dentro di noi è rimasta, almeno in parte, quella strana e assurda convinzione che il dolore redima, faccia crescere, salvi.
Dall’educazione dei bambini (“va là che se si fa male una volta impara!”), ai lutti della nostra vita (“è stata un’esperienza di crescita, alla fine”), tante cose ci riportano alla bizzarra importanza del dolore nella nostra quotidianità. Certamente sono osservazioni autentiche e spesso vere, ma non perché si sta male e basta. Ci scordiamo di aggiungere che è l’amore con cui affrontiamo il male che lo può rendere mezzo di crescita.
Al centro della festa di oggi non ci sta un oggetto di tortura di legno, ma l’amore con cui Colui che ci è salito sopra ha voluto affrontare questo passo. Non è il male a salvarci e a renderci liberi, ma la vicinanza e l’affetto, che ci permettono di affrontare anche il male, se è per il bene degli altri.
Oggi esaltiamo l’amore che vince ogni cosa e che trasforma perfino il legno della morte in un albero di vita.