Che rabbia, la sua! – Gv 2,13-22

Che rabbia, la sua! – Gv 2,13-22

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Il brano di oggi viene spesso portato ad esempio del fatto che “anche Gesù si è arrabbiato”. Verissimo: da qui ne consegue che la rabbia – come tutte le altre emozioni – di per sé non è un male. Le emozioni non sono moralmente giudicabili. Tutto dipende da come uno le mette in atto, da come le esprime nella relazione con gli altri.

E la rabbia di Gesù ha almeno due caratteristiche che mi colpiscono molto. Prima di tutto, è una rabbia lucida. La sua non è un’ira travolgente che tutto distrugge senza spiegazione. Al contrario, il Maestro si mostra, anche se infervorato, capace di dialogo, di rispondere puntualmente alle domande. Egli spiega il perché della sua rabbia. Tutto il contrario dei fenomeni di “road rage” che spopolano su YouTube. La rabbia di Gesù non distrugge, ma crea relazione.

Un secondo elemento può sembrare un dettaglio, ma non lo è. Se facciamo attenzione, Gesù ha due atteggiamenti diversi, rivolti a due categorie di venditori ben differenti: con i «cambiamonete» e con i mercanti di «pecore e buoi» si mostra duro, mentre con i «venditori di colombe» si mette a parlare. Perché?

Perché Gesù rispetta la povertà. Secondo la Torah, infatti, chi non poteva permettersi di sacrificare al tempio una grossa bestia, poteva limitarsi a «due tortore o due colombi» (Lv 12,8). Il vangelo stesso dice che questo è il sacrificio che la famiglia di Gesù ha potuto permettersi per presentare il figlio neonato al tempio (Lc 2,22-24).

La rabbia di Gesù non è ira furente e incomprensibile. Non è nemmeno uno sdegno che travalica il buon senso, i propri valori, il rispetto per chi sta peggio. La sua è un’assertività chiara, in grado di esprimere il proprio parere che svela le ipocrisie, capace di forza e di delicatezza al tempo stesso. Potessimo tutti arrabbiarci così!

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