Tempio
L’immagine di Gesù che ci consegna questa terza domenica di Quaresima, anno B, attraverso il brano di Giovanni della così detta purificazione del tempio (Gv 2,13-25), appare insolita e destabilizzante solo per chi non abbia mai letto i vangeli: l’azione decisa e violenta di scacciare dal tempio i venditori di ogni sorta con tutte le loro mercanzie, si pone perfettamente in linea con il Gesù giovanneo che fin dall’inizio del Vangelo presenta tutta la radicalità del suo rapporto con il Padre, il proprio bisogno di verità e il suo desiderio di ricondurre l’umanità all’essenzialità di una religiosità più autentica e profonda.
Gesù non può accettare la realtà, pur codificata dalla consuetudine e dalle necessità delle pratiche rituali, della presenza di un vero e proprio mercato nel cortile sacro del tempio: un rapporto di fede basato sullo scambio, come già aveva messo in luce tutta la tradizione profetica, non apprtiene alla identità profonda di Israele.
Ci vuole un’azione forte di denuncia per mettere in luce tutta l’ipocrisia di una fede che crede di essere tale basandosi principalmente sull’idea che Dio abbia bisogno dei nostri sacrifici: come scuotere dalle fondamenta una pratica data ormai per acquisita e che si offre come punto di mediazione insostituibile tra il sacro e l’umano? Gesù sceglie la via dei segni, quella che lo accompagnerà in tutta la prima parte del vangelo di Giovanni, gesti straordinari che hanno però bisogno di essere accompagnati dalle sue stesse parole per essere capiti fino in fondo.
Mandare all’aria con la frusta i banchi dei cambiavalute e scacciare i venditori di animali, dice di come Gesù sia venuto a sovvertire il modo di pensare la relazione con Dio, proprio a partire dal luogo di questa relazione, ritenuto centrale per la fede ebraica, il tempio. O il tempio torna a essere la casa del Padre, oppure meglio che sia distrutto.
Quante cose teniamo in piedi nella nostra vita pensando che siano la struttura portante della nostra fede e invece rischiano solo di essere l’ostacolo vero al cammino verso l’incontro con Dio. Quante cose riteniamo certe e indistruttibili, pensando che siano il punto di appoggio di ogni nostra sicurezza e invece sono solo pura esteriorità, il tributo che paghiamo a noi stessi per comprare qualche giornata di tranquillità. Bene, Gesù è venuto anche per sovvertire queste realtà e restituirci alla possibilità di un rapporto vero e profondo con Dio, quello che passa attraverso l’incontro con lui e la sua parola, attraverso la decisione di vedere in lui il tempio di cui abbiamo bisogno per incontrare il Padre. Il segno vero a cui fa riferimento Gesù nel brano è la sua persona, il suo corpo, il suo tutto: attraverso la sua vita donata e la resurrezione, si instaura per ogni persona la possibilità di ricevere vita piena da Dio. Infatti Dio non chiede sacrifici, chiede soltanto di essere capito nel suo desiderio di amore e di donare salvezza.
Chi vuole che tutto rimanga immobile e che il trascorrere inesorabile del tempo sia solo il segno dell’affermarsi di poteri costituiti e diritti inalienabili ha poco a che fare con la logica del vangelo.
Pochi giornali hanno dato il giusto rilievo alla notizia che il vescovo di Mileto, in Calabria, insieme a diversi preti della sua diocesi, sia stato ripetutamente soggetto di avvertimenti mafiosi che cercano di intimidirne l’azione pastorale, volta a cambiare radicalmente l’approccio delle comunità cristiane al tema della presenza mafiosa sul territorio. La risposta che sta seguendo la denuncia libera e aperta del vescovo sembra mobilitare le persone verso una reazione sana e decisa, una risposta chiara che sappia sbilanciarsi, senza mezze misure, nel dichiarare irricevibile ogni forma di compromesso con la mafia. Un’azione profonda che ribalta ciò che per decenni è sembrato normale e non sovvertibile. Eppure, facendo leva sulla coscienza, è sempre possibile rimettere in moto le persone, fare capire loro che il tempio vero in cui possiamo ritrovare Dio, ma anche la nostra profonda umanità, è sempre il nostro corpo, è sempre quell’interiorità che va riconosciuta e difesa, anche a costo di perdere qualche sicurezza, proprio come ci insegna Gesù in questa pagina del Vangelo.
La conclusione del brano, allora, non va intesa in senso negativo, come l’amara consapevolezza da parte di Gesù che l’uomo sia comunque destinato a vivere di facili entusiasmi per poi ricadere continuamente negli stessi errori e sempre nelle stesse forme di apatia: vorrei provare a leggere la sfiducia di Gesù in una chiave differente, nella prospettiva di un invito accorato a non fermarci alle prime impressioni, ai primi sforzi di seguirlo sulla base dei segni che ci hanno colpito. Molto c’è ancora da scoprire nel cammino insieme a lui, molto si può costruire nella consapevolezza che il nostro cuore è sicuramente debole, ma capace di un’apertura più costante nel tempo, quando si lascia scardinare dall’azione forte e sorprendente di colui che vuole fare anche di noi un tempio della presenza di Dio in questo mondo.