Il libretto delle istruzioni
«Signore, vogliamo vedere Gesù», questa l’affermazione che un gruppo di Greci rivolge a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, forse, visto il nome, proprio di origine greca. Questa l’affermazione che mette in moto il racconto di questa V domenica di Quaresima, anno B (Gv 12,20-33) e che l’evangelista Giovanni ci presenta come racconto di manifestazione, al pari di quello che i Sinottici presentano sul monte Tabor. Nelle versioni che raccontano la Trasfigurazione, una voce dal cielo conferma che Gesù è l’amato: è il Padre che esprime tutto il suo compiacimento nel Figlio che deve essere ascoltato. Qui, allo stesso modo, una voce dal cielo viene a confermare quanto Gesù ha appena espresso parlando di glorificazione, parlando del fatto che il nome di Dio viene glorificato attraverso la realizzazione dell’ora, del momento in cui Gesù dona la propria vita venendo innalzato sulla croce. La voce dal cielo rivela, quindi, l’identità di Gesù, confermando che chi lo vuole servire si mette nella condizione di vedere il Padre. Ci viene ricordato, dalle stesse parole di Gesù, che la voce non è per lui: lui queste cose le conosce molto bene. La voce è per i Greci, è per la folla, è per tutti gli uomini che vogliono vederlo, cioè conoscerlo davvero.
La questione è capire come conoscere davvero Gesù, perché Giovanni sembra lasciarci intendere che soltanto attraverso il servizio sia possibile creare quel legame così forte con lui da poterci far dire che siamo realmente suoi amici: essere servo, nella prospettiva biblica, vuol dire entrare in intimità con Dio stesso, essere addirittura onorato dal Padre, ricevere la giusta valutazione, il giusto giudizio rispetto alla qualità profonda della propria vita.
Essere servi non si limita a una semplice valutazione di ordine etico, qualcosa che scegliamo e che ci rende più buoni. Si tratta di una realtà più profonda che esprime un’appartenenza identitaria: servire lui vuol dire essere dove è lui e cioè sulla croce. Siamo invitati a comprendere la logica della croce che ci viene presentata attraverso l’immagine del chicco di grano che per portare frutto deve morire, lasciarsi immergere nella terra e sparire.
Nel cuore di un’argomentazione di alta teologia che pare perdersi in pensieri troppo alti, irrompe l’immagine semplice e poetica del chicco di grano, un’immagine che anche un bambino può capire. In questa immagine Gesù, non solo spiega il senso di quello che sta per realizzare nella sua ora, ma ci consegna anche il libretto delle istruzioni originale su come funziona davvero la vita umana. L’essere generativi comporta la morte, il darsi completamente dentro alle cose, alle scelte, ai progetti, ma soprattutto nelle relazioni, affinché altri vivano con noi e dopo di noi. Tutto quello che facciamo per preservare la nostra vita come un unicum, qualcosa che deve rimanere per sempre, rende la nostra esistenza un oggetto che, per quanto bello possa sembrare, rimane inanimato, sterile. La vita spesa, seminata, sotterrata e persa, invece, diventa realtà che continua e che si moltiplica generando figli che avranno poi la possibilità di diventare anche loro genitori. Questa è la logica del seme, la logica della croce: darsi senza riserve perché la vita possa continuare. Questo è l’unico modo per spiegare davvero come funzioni l’umanità: se le cose non funzionano così qualcosa si blocca e la morte, quella vera, prende piede assumendo l’aspetto di un male che sembra non passare.
L’umanità è tale solo quando funziona come il chicco di grano, altrimenti si trasforma in qualcosa di grottesco e letale, purtroppo.
Tra le tante persone che, magari senza saperlo, portano avanti la vita aderendo alla logica del seme, questa settimana scelgo la figura di un medico che dopo aver visitato una ragazzina al Pronto Soccorso e averla dimessa, decide di andarla a trovare a casa, dopo aver smontato dal turno di notte, perché non convinto della diagnosi di dimissione. Grazie alla sua costanza e dedizione, lui che è peraltro chirurgo in pensione che presta servizio volontario presso il Pronto Soccorso di una cittadina marchigiana, salva la vita alla ragazza affetta da un’importante infiammazione del midollo.
Il suo intervento è stato fondamentale per il ricovero immediato della ragazza che altrimenti avrebbe rischiato di perdere l’uso delle gambe, ma probabilmente anche la vita.
Nessuno sarebbe venuto a conoscenza della cosa se i genitori non avessero dato rilievo alla notizia, riconoscenti del fatto che ci sia chi non si limita a fare il proprio mestiere, ma fa della propria vita qualcosa da mettere veramente a disposizione della vita degli altri.
Perderci a noi stessi, alle nostre comodità, per aprirci al bisogno dell’altro, ma anche riconoscere che il meglio di noi stessi, quello che rimane davvero, è ciò che sappiamo mettere a servizio del bene, non è qualcosa di opinabile: è il libretto delle istruzioni che dobbiamo imparare a leggere per fare funzionare davvero la complicata macchina della vita secondo quello per cui è stata pensata. Peccato che alle volte crediamo che le istruzioni non servano e buttiamo via il libretto troppo presto, magari senza averlo letto neppure una volta.