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Dal vuoto al pieno
All’inizio del capitolo quinto del vangelo di Luca (V domenica del Tempo Ordinario, anno C, Lc 5,1-11), troviamo Gesù che insegna alle folle. La pressione della gente che lo circonda è tale da costringerlo a chiedere ai pescatori che stanno lavando le reti, dopo una notte di lavoro senza avere preso nulla, di mettergli a disposizione una barca per poter continuare a insegnare con più agio, allontanandosi un poco da terra. Finito di parlare, quasi come una sorta di ringraziamento per il servizio fornito, Gesù invita Simone, uno dei pescatori proprietario della barca, a riprendere il largo per una nuova pesca.
Strano modo di ringraziare, quello di invitare a rifare una cosa in cui si è appena sperimentato il proprio fallimento. Strano modo davvero: Gesù avrebbe potuto almeno rincuorare Simone prima di rispedirlo al largo e invece, senza aggiungere altro, lo rimanda a fare quello che sa fare, quello che gli garantisce quotidianamente la sopravvivenza. Cosa avrà convinto Simone a fidarsi del comando ricevuto? Non lo sappiamo, forse le parole ascoltate in precedenza, lo sguardo di Gesù, il suo fascino, chissà. Sta di fatto che Simone e i suoi soci riprendono il largo e iniziano nuovamente a pescare nel momento del giorno meno indicato per farlo. Si fidano di una parola che li ha inviati, mentre fino a quel momento avevano pescato solo per se stessi. Scoprono la possibilità di fare qualcosa sulla base della fiducia e non a partire dall’unica convinzione di essere in grado di farla. Nel momento in cui sperimentano l’insuccesso di fronte alle proprie aspettative, Simone e compagni vengono fatti oggetto di una speranza inaspettata, trovano qualcuno che crede nelle loro possibilità e che li investe di un nuovo mandato. Non viene detto loro di cambiare modo di pescare o di cambiare zona, non vengono messi a parte di qualche segreto particolare circa le migliori zone di pesca, vengono semplicemente inviati di nuovo a fare quello che sanno, ma con uno spirito diverso, un modo differente di vedersi dentro alle cose.
La pesca diventa miracolosa, tanto da riempire prima le reti e poi le barche, quasi da farle affondare, nel momento in cui, dopo aver sentito tutta la povertà del proprio limite, ci si apre alla possibilità vera di incontrare una salvezza che non siamo in grado di ottenere da soli. Come Simon Pietro e gli altri discepoli, abbiamo bisogno di vivere lo scacco del non riuscire a prendere nulla con le nostre reti, o meglio, di non riuscire a ottenere tutta la pienezza della vita che cerchiamo attraverso gli strumenti di cui siamo dotati e che pensiamo ci possano bastare.
Non dobbiamo fare cose straordinarie o cambiare vita per trovare la felicità: quasi tutti i giornali, ormai, riportano quotidianamente la rubrica fissa in cui si racconta di persone che hanno deciso di dare una svolta radicale alla propria esistenza, magari partendo per un luogo lontano, cambiando stile di vita, oppure scegliendo un nuovo lavoro che li ha messi in condizione di trasformare tutto. In fondo, l’idea che si vuole suggerire è quella che tutti possano cambiare vita quando vogliono trovando da soli la felicità che cercano, basta desiderarlo davvero. Il cambiamento è spesso condizione necessaria per una ripartenza, ma ci si può nascondere all’altra parte del mondo, senza ottenere nessun risultato, se non si sono fatti seriamente i conti con i propri fallimenti.
Gesù non ci invita a scappare: ci restituisce alla nostra stessa vita, aggiungendo però che lui è con noi. Questo diventa l’elemento che finalmente ci può fare aprire gli occhi sulla bellezza della nostra esistenza, in un modo vero e profondo. Pietro ha ragione nel riconoscere di essere un peccatore: di fronte a Gesù non ha bisogno di fingere e non ha neppure l’esigenza di apparire diverso da quello che è. Di fronte alla pienezza che non viene da te, puoi finalmente essere te stesso e non avere più l’esigenza di dover rispondere ai bisogni degli altri.
C’è una parola che sfama e che permette di vedere la tua vita, già adesso, in modo diverso. La fiducia che Gesù ripone in Simone è la stessa che ripone in noi. Quello che potremo diventare neppure riusciamo a immaginarlo, ma se non accettiamo di ripartire dalle nostre reti vuote, se non abbiamo il coraggio di guardarle mentre le laviamo, prima di riporle sulla barca, dove pensiamo di andare a cercare la felicità che desideriamo? Se non rimettiamo in sesto la macchina dello stupore di fronte alla possibilità che Dio possa essere così vicino alla nostra vita, tanto da volerla toccare, come potremo passare dalla paura per i nostri fallimenti, alla gioia piena dello scoprire che abbiamo una missione da realizzare?