
Il tocco al femminile
Un brano strano quello di Gv 8,1-11 che la liturgia di questa V domenica di Quaresima ci offre, un brano più vicino al Vangelo di Luca per tematica e modalità espressiva: una parola, però, risuona immediatamente come possibile richiamo all’episodio di Cana e alla scena finale sotto la croce: donna. Forse è solo una suggestione, eppure, come una donna, la madre, diventa il motore della manifestazione del Figlio all’inizio della sua missione e al termine di essa ne indicherà l’esito, così una donna, un’adultera, con il suo esserci e il suo rimanere davanti a lui per accoglierne il perdono, rivela un dato fondamentale della sua identità: Gesù è la misericordia del Padre. Nessuno ci può condannare se accettiamo di stare con la nostra miseria soli con lui, imparando da una donna cosa voglia dire lasciarsi amare. Chi ha insistito per inserire questo brano nel cuore del Vangelo di Giovanni non poteva non avere una spiccata sensibilità femminile e sicuramente sapeva molto bene quello che faceva. Certo colpisce ascoltare queste parole così belle e delicate in una settimana dove ancora una volta ci siamo trovati a commentare terribili notizie di femminicidi: abbiamo ascoltato in serie il drammatico racconto di giovani vite spezzate dalla frustrazione di maschi incapaci di amare proprio perché non capaci di sostenere una qualsiasi forma di rifiuto come normale dialettica della vita. Colpisce ancora di più pensare al fatto che nel brano siano soltanto uomini, come prescriveva la realtà di una legge tutta al maschile, ad alzare le pietre per colpire una donna adultera: sarebbe mai stato possibile il contrario? Evidentemente no: chissà quanti adulteri tra quella massa di maschi inferocita e irrazionale.
Gesù esce da questa logica di potere, avvallata da una tradizione e da una certa interpretazione della legge e invita tutti coloro che lo vogliono seguire a fare lo stesso: deporre la pietra del giudizio vuol dire anche riconoscere una parità sostanziale e reale, una parità che in nessun modo ti autorizza a trattare l’altro come un oggetto e a credere di poterne disporre anche soltanto per realizzare una qualche forma di apparente giustizia. Nessuna giustizia che venga da Dio può volere la morte. Nessuna giustizia che venga da Dio può volere il riconoscimento di una differenza che porti a privilegi per qualcuno a scapito di altri.
La furia omicida di questi uomini che si credono giusti può essere fermata solo da chi li mette davanti alla loro pochezza e miseria: il vedere tutti, uno per uno deporre la pietra, diventa un monito anche per noi. Non possiamo più commettere l’errore di credere che l’omicidio efferato di tante donne sia qualcosa che riguarda alcuni uomini incapaci di gestire i propri impulsi: c’è una mentalità da disarmare, una mentalità che intacca le relazioni più profonde trasformando perfino quelle d’amore nel loro esatto contrario. Questa mentalità è fatta di possesso e desiderio di distruzione di tutto ciò che non può essere controllato. É la mentalità di coloro che non sanno cos’è l’amore perché non hanno mai accettato di farsi amare veramente.
Gesù ci offre la sua misericordia come cura per imparare a disarmare i nostri cuori, riconoscendo quella condizione di peccatori che ci accomuna tutti. Siamo tutti e tutte creature che attendono di essere guarite: se non siamo ancora capaci di stare davanti a lui accettando la nostra condizione di miseri, almeno, però, possiamo riconoscere che deporre la pietra è il primo radicale passo che ci viene chiesto per iniziare un vero cambio di mentalità.
Il tocco tutto al femminile che sembra innervare questa narrazione evangelica credo possa essere di aiuto soprattutto ai maschi bisognosi di rivedere un modello di riferimento che fa della violenza un modo per affermare la propria identità, violenza che esplode nella forma più evidente e drammatica nel bisogno di uccidere chi non posso conquistare, ma che ha nella logica della conquista, in tutte le sue forme, qualcosa di profondamente sbagliato e antievangelico.